lunedì 24 giugno 2013

Il film nella testa e le esaltazioni - delirio interrotto

Ci sono quei momenti in cui scrivere sembra naturale come respirare. E quei momenti in cui sembra difficile e complicato come partorire tre gemelli congiunti. 
Ci sono persone che hanno bisogno di calma, concentrazione e silenzio per scrivere. E quelle persone che hanno bisogno di essere di pessimo umore, distratte da mille altre cose in contemporanea e con qualunque tipo di musica sparata nelle orecchie per poter tirar fuori anche solo una parola.
Ci sono persone che scrivono di getto, concentrandosi sulla sostanza, che poi tornano in un secondo momento sui dettagli. E ci sono persone che, invece, si bloccano un mese alla ricerca della frase, della parola perfetta. 

E poi ci sono io. Che faccio tutto questo insieme. Che ho i miei giorni (o meglio, le mie notti) in cui scrivo pagine e pagine senza il minimo sforzo. E notti in cui cavarmi un rigo è una cosa lunga, faticosa e dolorosa. Ci sono le volte che il silenzio e la solitudine sono perfetti, e altre in cui senza musica non tiro fuori nemmeno il proverbiale ragno dall'altrettanto proverbiale buco dietro la lavastoviglie (credo che, dietro la mia, si sia annidata una famiglia di tarantole: una volta, sono usciti un paio di ragni giganteschi). E ci sono quelle volte in cui scrivo rapidamente tutto quello che mi passa per la testa, che poi ci torno dopo, a "farlo bello", e quelle volte che, invece, mi danno alla ricerca del modo migliore per dire quello che ho in testa. Perché, se non lo "faccio bello", altrimenti "non si capisce niente". Altrimenti, non vedi quello che devi vedere, e sono solo parole su un foglio. 
Altrimenti, non ci sei dentro. 
Altrimenti, nella testa di Dys, Julian, Duncan, Azrael, Zenith, Nadir, Raguel, Nicholas o Micael, col cavolo che ci entri. Ma nemmeno in quella di Eryn, e in quella di Lee Ann non ne parliamo proprio. Anche se quella di Alastair è uno dei posti peggiori. In effetti, anche quella di Laguna è un altro brutto posto, non scherziamo. 
Altrimenti, come si fa a vedere il film nella testa, come direbbe la Giu'? 

Che, poi, quando la Giu' mi dice 'leggevo e vedevo il film nella testa', io mi esalto. È una soddisfazione, no? Sapere che tutto il sudore - metaforico e letterale - vale qualcosa, che ci riesci, ti fa esaltare. O è una cosa solo mia?
Che quando mi dicono 'ma io l'ho sentito, quello che hai scritto, l'ho sentita quella cosa lì che sentiva lui/lei, ero nella sua testa/ho riso/ho pianto', mi esalto uguale. 
Lo so, mi esalto con poco. Che dire, mi accontento.

Un'altra cosa che mi esalta, è affezionarmi a qualche personaggio. Perché alcuni dei miei personaggi li odio, non è mica detto che perché sono miei mi devono per forza stare simpatici, no? Per esempio, Raguel mi sta sulle scatole, non la sopporto molto. La tollero, ed è probabile che la ammazzerò, alla fine. Non lo so, vedremo. Anche Julian, nemmeno lui è tra i miei preferiti. 
Di solito, sono le protagoniste femminili che mi piacciono poco, per cui, quando me ne viene una che mi piace e alla quale finisco con l'affezionarmi, mi stupisco. 
Lo so, alla fin fine dovrebbero piacermi tutti, i miei personaggi. D'altronde, li ho creati io, no? Eppure... non ci riesco. Credo sia perché, secondo me, se mi stessero tutti simpatici, finirebbero con l'essere tutti troppo fortunati, no? Andrebbe a tutti troppo di lusso.
E, di fronte a una guerra, non riuscirei ad ammazzarne nessuno.
E quindi, Dys finirebbe a tarallucci e vino, o con tutti che scoprono di essere diventati inammazzabili e, magari, girano con le teste sotto il braccio a menare fendenti al primo che passa dell'esercito nemico. E anche se sarebbe una figata, non è una cosa molto accettabile, no?
Per cui, adesso torno ad amare follemente alcuni personaggi e odiarne altri. Trovandomi sempre in parere contrario con Manu, che odia quelli che io amo e ama quelli che io odio e minaccio di ammazzare.
Al solito, no?


giovedì 23 maggio 2013

23 05

E io ci provo, davvero, a mettere qualcosa per iscritto.
E io ci provo, sul serio, a trovare le parole, a comporre una frase, un paragrafo, una pagina.
E io ci provo, perché le cose stanno là, nella testa, pronte.
E io ci provo, perché alle dita non ci arrivano.
E io ci provo, perché provarci è l'unica cosa che mi è rimasta. Perché, mentre ci provo, arrivano rotture di coglioni da ogni lato: dalla ricerca del telecomando perduto al cercare di bloccare una veneziana rotta che sbatte sul balcone durante un diluvio.
Perché tanto, che importa, no? Perché tanto, che importa a loro? Perché tanto, che importo io?

Perché gli altri non hanno bisogno di mettersi a scrivere, di inventarsi mondi e persone per fuggire, per avere un attimo di requie dalla realtà.
Perché gli altri non hanno come unico sollievo dei sogni che non si realizzeranno mai.

Una volta, avevo dei sogni nel cassetto.
La realtà mi ha fregato il comodino.